In Piemonte, solo il 3% delle coltivazioni è a regime biologico. La media nazionale è intorno al 13%, ma ci sono regioni come la Calabria dove si raggiunge il 30%. E’ a partire da questi significativi dati che Beatrice Riva, studentessa venticinquenne di Cuneo, ha deciso di dedicare la sua tesi di laurea triennale all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo alle «Criticità del biologico in Piemonte».
La discussione della tesi avverrà a inizio marzo 2019, relatrice sarà la professoressa Paola Migliorini, docente di Agroecologia. «Ho iniziato il mio lavoro analizzando i consumi dell’agricoltura biologica a livello nazionale – spiega Beatrice Riva -, poi ho deciso di spostare l’attenzione anche sulla produzione, concentrandomi in particolare sul caso piemontese». La domanda di fondo è la seguente: perché, a fronte di un sempre maggiore consumo di prodotti bio, nella nostra regione non corrisponde un’equivalente crescita della produzione? Le risposte sono molteplici, e per trovarle la studentessa ha coinvolto anche il presidente di Cia Cuneo, Claudio Conterno.
«Con il presidente Conterno abbiamo analizzato soprattutto il caso della viticoltura, dove la conversione al biologico è più diffusa. Ciò perché i consumatori di vino sono maggiormente a contatto con i produttori e perché i margini di ricavo sono sufficienti a giustificare l’investimento. E poi perché ormai la richiesta di etichette bio è in costante crescita, in tutto il mondo». Non è lo stesso per altre colture specializzate tipiche cuneesi, dove prevale ancora la diffidenza e il timore che il modello biologico non sia realmente applicabile. Spiega la professoressa Migliorini: «Se nella viticoltura si registra maggiore sensibilità, ci sono settori in forte ritardo come quello zootecnico. In provincia di Cuneo c’è una forte spinta tradizionalista e si fa fatica a innovare, per questo è necessario lavorare a livello culturale e motivazionale, puntando sulla formazione delle nuove generazioni».